Asse spinale, collare cervicale rigido, cinture di immobilizzazione, ragno, fermacapo con mentoniera e cinghia frontale… ed il “pacco” può essere recapitato in Pronto Soccorso. Se tutto andrà bene il paziente resterà così immobilizzato fino a quando qualcuno non avrà escluso lesioni del rachide, in genere per un tempo quasi mai inferiore alle 3-4 ore.
La protezione della colonna vertebrale in un trauma è di fondamentale importanza tanto che si consiglia di eseguire l’immobilizzazione della colonna cervicale già nel’ABCD primario. L’immobilizzazione spinale viene eseguita principalmente per prevenire o minimizzare il danno secondario al midollo spinale causato da potenziali lesioni della colonna vertebrale.
Abbiamo iniziato a fare così dagli anni sessanta, del resto Advanced Trauma Life Support, Pre Hospital Trauma Life Support e Prehospital Trauma Care, i nostri testi sacri, sanciscono quanto sia importante la corretta immobilizzazione del paziente traumatizzato con sospetta lesione spinale.
Negli anni i sistemi di emergenza pre-ospedaliera hanno implementato l’uso dell’immobilizzazione spinale attraverso algoritmi e protocolli fino a farla diventare una pratica ampiamente consolidata e condivisa.
Ma stiamo andando nella direzione giusta ?
Quale evidenze ci dicono che quello che facciamo ormai routinariamente sia realmente corretto e vada sempre bene ?
L’immobilizzazione spinale non è a rischio zero.
Dolore e disconfort, rischio di lesioni cutanee da pressione, compromissione respiratoria ed aumento della pressione intracranica (PIC) sono effetti negativi ormai noti e ben documentati correlati alla immobilizzazione spinale. Si dovrebbe poi tenere conto che l’immobilizzazione aumenta i tempi di gestione sulla scena, prolunga i tempi di trasporto, induce a fare più diagnostica in Pronto Soccorso che spesso risulta di bassa qualità proprio per la presenza degli stessi presidi di immobilizzazione.
Nonostante l’ipotesi che impedendo il movimento spinale si riduca il rischio di lesioni secondarie, non ci sono prove di alta qualità che dimostrino la reale efficacia di questa pratica e che, a parità di lesioni, gli outcome dei pazienti immobilizzati siano realmente migliori di quelli trasportati senza immobilizzazione.
Un altro problema è dato dal fatto che l’immobilizzazione è probabilmente solo nei nostri desideri, poiché è stato dimostrato che nonostante il corretto posizionamento di spinale e collare cervicale movimenti di rotazione laterale e flesso-estensione del raschiare sono ancora possibili.
Se a tutto questo aggiungiamo che, fortunatamente, una percentuale tra il 99 ed il 96% dei pazienti con trauma gestiti dai servizi di emergenza non ha una lesione della colonna vertebrale, risulta che per ogni soggetto che potrebbe ricevere un potenziale beneficio dall’immobilizzazione spinale, centinaia di migliaia devono essere trattati senza alcun beneficio.
Forse è giunto il momento di rivedere le nostre pratiche di immobilizzazione nel trauma ?
Società come The American College of Surgeons Committee on Trauma (ACS-COT), American College of Emergency Physicians (ACEP) e the National Association of EMS Physicians (NAEMSP) hanno prodotto un Joint Position Statement sull’argomento con un bel po’ di novità.
Vediamolo in dettaglio:
Tra i punti di consenso viene ribadito che le tecniche attuali limitano il movimento indesiderato della colonna vertebrale, ma non forniscono un’immobilizzazione spinale vera. Per questo motivo, si dovrebbe parlare di spine motion restriction (SMR) o restrizione del movimento spinale rispetto a “immobilizzazione spinale”, sebbene entrambi i termini si riferiscano allo stesso concetto: minimizzare il movimento indesiderato della colonna vertebrale potenzialmente danneggiata.
La restrizione del movimento spinale (SMR) prevede che il mantenimento in asse del paziente venga attuato adoperando tre semplici strumenti: collare cervicale, cinghie di immobilizzazione e lettino dell’ambulanza. In poche parole il mantenimento in asse viene fatto su un lettino standard di ambulanza (senza asse spinale!), adoperando il solo collare cervicale ed assicurando il paziente al lettino in modo da garantire l’intero rachide.
Spinali o barelle cucchiaio diventano a questo punto degli strumenti per l’estricazione e lo spostamento del paziente sulla scena del trauma, ma dovrebbero essere rimosse quando il paziente viene trasferito sul lettino dell’ambulanza per il trasporto.
Gli ospedali dovrebbero essere preparati e attrezzati per rimuovere, se non è stato già fatto in ambulanza, i pazienti dalla barella spinale, cucchiaio o materassino a decompressione non appena possibile. Per il trasferimento sicuro viene consigliato l’uso di slider board o dispositivi simili per mantenere il paziente in asse e garantire la restrizione del movimento spinale.
Sempre in base al Joint Position Statement le indicazioni all’uso dell’immobilizzazione nel trauma per il paziente adulto vengono ristrette a :
1- Livello di coscienza acutamente alterato (ad es. GCS <15)
Intossicazione
2- Dolore al collo o alla schiena e / o alla pressione della linea mediana
3- Segni neurologici focali e / o sintomi
4- Deformità anatomica della colonna vertebrale
5- Circostanze o lesioni distraenti o lesioni simili che compromettono la capacità del paziente di contribuire a un esame affidabile.
In pratica sparisce il criterio all’immobilizzazione basato sulla sola dinamica del trauma
Altra semplificazione è per il trauma penetrante dove non viene più raccomandata l’immobilizzazione spinale di routine.
In sole tre pagine il Joint Position Statement proporne concetti che rivoluzioneranno la nostra quotidiana gestione del trauma, assistiamo ad una grande semplificazione, ma forse il difficile viene adesso… andranno smontati concetti e pratiche ormai divenute consuetudine, andranno ridiscussi i protocolli di immobilizzazione nel politrauma e rimodulata la formazione del personale sanitario.
La speranza è che noi medici ed infermieri d’urgenza sapremo smentire il detto che dice: “complicare è facile, semplificare è difficile”.
FONTE:
Spinal Motion Restriction in the Trauma Patient – A Joint Position Statement
Peter E. Fischer et al.