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EDITORIALI

QUALITA’  della ORGANIZZAZIONE di CHI LAVORA IN EMERGENZA: PERCHE’ NON PENSARE ALLA RIVOLUZIONE?!


I Congressi americani

Andare a un Congresso americano, soprattutto a quello dell’American Academy of Emergency Medicine, può avere degli effetti collaterali sulla salute mentale. Su di me, ha degli effetti bestiali!

Capita, infatti, di ascoltare e riflettere. E pensare può essere molto pericoloso. Lo è in generale, ma ancora di più quando le riflessioni interessano il tuo lavoro e le problematiche attuali.

Tranquilli, non sto per fare alcun paragone tra l’organizzazione sanitaria degli Stati Uniti e la nostra. Una volta l’avrei fatto, certamente!, ma ora non penso più che quel modello sia importabile nel nostro Paese. Certo, credo ancora fermamente che abbiamo molto da imparare e da imitare in tema di formazione (universitaria e non) di nuovi e vecchi medici, ma quando si parla di organizzazione del lavoro e di modelli clinici, siamo talmente lontani e le situazioni sono talmente differenti che è impensabile qualsiasi paragone.

Nonostante questo, venire a conoscenza di alcuni aspetti della loro organizzazione e ascoltare i discorsi degli anziani medici americani che hanno fatto la storia della nascita della Medicina d’Urgenza, mi porta a riflettere e fantasticare. Oggi ho deciso di non avere vergogna e condividere con voi le mie riflessioni per quanto pazze siano. Vi racconto da dove partono i miei pensieri.


Il Punto di Partenza

Recentemente un mio amico è stato coinvolto in un problema medico legale nel Pronto Soccorso dove lavora. Non un errore “sicuro” (perlomeno per ora sembra così) ma uno di quei casi clinici difficili e subdoli dove è difficile capire che il tuo giovane paziente è una bomba a orologeria che esploderà da un momento all’altro.  Ma il fattaccio è successo, purtroppo (soprattutto per il paziente): la bomba è esplosa.

Non è questo, però, che mi ha colpito. Anche a me è successo molti anni fa, e in questi casi non c’è spesso altro da dire che “fa parte del nostro lavoro”. Tutto ciò che è accaduto e che accade dopo, invece, non dovrebbe farne parte e mi spinge a riflettere.

Vi pongo una domanda. Cosa succede in Italia quando un medico di Pronto Soccorso viene denunciato?

Cosa fanno gli organi di stampa lo sappiamo bene. Nel nostro panorama giornalistico, che oramai punta tutto sul rumore della notizia piuttosto che la qualità del reportage, la regola è la comparsa di titoli a caratteri cubitali che urlano all’assassinio e alla colpa. Per poter fare questo, si deve ovviamente dare per certo l’errore. Anzi, di più! L’errore non basta, ci vuole la Colpa.

Ebbene, questo è la regola e chiunque di noi ci incappi, deve sapere che questo è quel che lo aspetta. È normale. Non ti devi demoralizzare o disperare. Anzi, ti devi fare furbo. Te lo dico perché anche a me è successo oramai credo 35 anni fa (non sto raccontando teorie).

La scelta migliore che puoi fare in questi casi è isolarti. Difendere la tua serenità. Non leggere i giornali. Non seguire le notizie. La pena che vogliono farti scontare, non è nella condanna finale (semmai ci fosse) ma nel Processo. Ed è per questo che bisogna essere latitanti in questa fase e lasciare fare agli avvocati. Se poi verrà riconosciuto che hai avuto colpa, pagherai il tuo debito, giustamente. Se, invece, sarà riconosciuta la tua innocenza e buona fede, avrai evitato almeno 5-10 anni di prigione mentale a cui l’opinione pubblica ti vuole costringere sin dal primo minuto.

Siamo alla caccia alle streghe, te ne sei accorto?

La Conferenza stampa

A parte questo aspetto, ne esiste però anche un secondo.

Cosa fa nell’immediatezza del fatto la Direzione di un Ospedale quando uno dei suoi medici di Pronto Soccorso viene denunciato in Italia? Cosa ha fatto nel caso del mio amico e nel mio? Prendere le distanze e condannare. Nel timore, spesso, di vedersi coinvolta e riconoscere le proprie responsabilità, è cosa comune che in occasione di interviste o di reclami, la Direzione sia subito pronta a dimostrasi “contro” il suo dipendente e a favore di chi, a torto o a ragione, chiede un risarcimento. Si vuole, insomma, dimostrare  all’opinione pubblica di avere la ferma intenzione di fare la dura con il medico che sbaglia, ancor prima di aver chiarito se questo sia o meno realmente caduto in errore.

Questa cosa vi suona familiare? Avete avuto esperienze analoghe, anche solo riferite a vostri colleghi? Io penso di si. E questo riguarda sia accuse di colpa grave, quanto richiesta di risarcimenti per semplici outcome negativi. Ebbene, nel nostro caso, credo che si debbano fare delle precisazioni particolari.

Ai piani di sotto intanto …

Nel panorama della Medicina d’urgenza italiana del Terzo Millennio le cose per noi si stanno facendo critiche. I Pronto Soccorso sono sempre più affollati. Il personale è sempre più scarso. Il numero e complessità dei pazienti aumenta. Il ventaglio di abilità e attività richieste a un team d’emergenza si fa sempre più ampio. L’evoluzione della disciplina, che chiede sempre più una “medicina d’urgenza” e non un semplice “pronto soccorso”, sta rendendo inadeguati la maggior parte degli ambienti e strutture dove questa delicatissima pratica clinica viene svolta. Talora, ha anche reso inadeguata una parte del personale che vi lavora, nonché l’organizzazione sanitaria. 

Ogni regola e criterio di umanità e buon senso è saltato. Siamo andati molto oltre ciò che si sarebbe dovuto accettare. È come la violenza sulle donne. Mi spiego. La prendo ad esempio perché nasce da rapporti in cui, pian piano, gradualmente e silenziosamente, il “non accettabile” diventa normalità. E si va avanti così, fino a quando non si trasforma in delitto e sofferenza. Allora ci si sveglia (o si muore).

Tornando al Congresso …

Al famoso Congresso Americano congresso è il turno di un prestigioso psichiatra autore di un best seller famoso in tutto il Mondo. Cosa ci fa uno psichiatra nella Conferenza scientifica di un congresso di medicina d’urgenza? – mi domando

Nessun altro come il personale del Pronto Soccorso può essere definito abused” tuona lui.

Abused è un termine inglese che indica una persona che subisce violenza. Ti stupisce? Non credo. Perché in effetti è questo quello che succede sempre più spesso a chi lavora in Pronto Soccorso.

Su di noi si fa violenza. La esercitano i pazienti, i parenti, le situazioni a cui il nostro lavoro ci espone, e anche lo stesso ambiente di lavoro nel quale siamo costretti ad operare. È così. Siamo violentati ogni giorno nel nostro posto di lavoro. E anche se non ne siamo consapevoli, gli effetti si vedono. Quanto meno li vedono i tuoi colleghi, i tuoi amici e la tua famiglia.

Quanti di noi si ritrovano divorziati o con le relazioni o le vite distrutte e non sanno neanche spiegare il perché? E lo dico io perché. Non è sano, non è giusto e non è “normale” lavorare nel modo e nei luoghi dove molti di noi sono costretti! Non lo è certamente per i pazienti (e qui dovremmo parlare di un altro aspetto del problema), ma non lo è neanche per noi. 

L’eccesso di prestazioni

Nell Codice deontologico della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri viene scritto che il medico “deve esigere da parte della struttura in cui opera ogni garanzia affinché le modalità del suo impegno non incidano negativamente sulla qualità e l’equità delle prestazioni nonché sul rispetto delle norme deontologiche”. Il medico deve altresì “esigere che gli ambienti di lavoro siano decorosi e adeguatamente attrezzati nel rispetto dei requisiti previsti dalla normativa compresi quelli di sicurezza ambientale” e “non deve assumere impegni professionali che comportino eccessi di prestazioni tali da pregiudicare la qualità della sua opera professionale e la sicurezza del malato”.

Certamente la nostra disciplina per vocazione prevede l’imprevedibilità del lavoro, e la possibilità di dover “cambiare marcia” quando le urgenze o le richieste aumentano occasionalmente. Ma, cosa è considerato un eccesso di prestazione?

Il termine può voler dire diverse cose, e certamente si compie in pieno nelle situazioni di affollamento, di eccesso di prestazioni da fornire, di richiesta di prestazioni non adatte e non previste per la nostra disciplina, in cui siamo costretti ad operare negli ultimi anni. 

Perchè siamo a questo punto?

Perché ciò accade? Perché questa situazioni inaccettabile è divenuta “normalità”? Cosa possiamo fare? La realtà americana in questo è differente. Non perché manchi il crowding. Non ci pensate nemmeno! La diversità consiste nell’organizzazione e in parte nel non considerare normale quanto accade. Se aprite una rivista americana di medicina d’urgenza troverete spesso nelle ultime pagine avvisi pubblicati da strutture ospedaliere che cercano di invogliare i medici a prestare la propria professione in quel o quell’altro ospedale. C’è mancanza di medici, come da noi, i Pronto Soccorso sono affollati, come da noi, e per questo le Direzioni degli Ospedali cercano di far quadrare i conti per avere il giusto numero dei medici che collaborano con loro, come da noi.

Come fanno questo? Non come da noi! Divertitevi a leggere gli annunci che mettono. Al Congresso nell’area espositiva ho visto anche che esistono diverse società private che collaborano con gli ospedali nel reclutamento del personale. 

Si parla certamente di soldi (si promettono ottimi salari), si pubblicizzano le città e gli aspetti naturali delle location che quel luogo di lavoro può offrire, ma soprattutto si presentano i vantaggi di una organizzazione sanitaria che terrà conto del numero di ore, del numero di pazienti visitati, e di altri aspetti come la gestione medico legale e altro. Il libero mercato crea le condizioni affinché le strutture ospedaliere si sentano costrette a competere una con l’altra nella buona organizzazione e nel rispetto di quegli aspetti da cui la salute dei propri medici dipende.

Fantascienza? 

Forse si. Dobbiamo dire che è così, solo fantascienza, quindi deprimerci e sprofondare sempre più nel nostro burnout. Oppure possiamo dire No. Fantasticare che la risposta sia No.

Cominciare a pensare che si possa essere più uniti, che si possa essere meglio rappresentati da una Società scientifica che cresce e acquista autorità nelle stanze dei bottoni, che si possa avere voce per noi e per i nostri pazienti (come di fatto sta accadendo negli ultimi anni).

Che forse è ora che siano i nostri Ospedali ad aver paura di perderci, ad avere cura di noi e dover combattere per mantenerci nel loro staff.

Che si facciano la guerra l’un l’altro per offrire al personale condizioni di lavoro vantaggiose e dignitose.

Che si possa aver paura di vedere i propri medici e infermieri andar via in altre strutture più organizzate.

Che ci si debba impegnare per custodiscano le perle preziose di qualità possedute nel proprio gruppo di lavoro.

Un cambiamento impossibile?

Forse si, ma ogni cambiamento ha inizio da un rifiuto della situazione presente e dall’aspirazione di raggiungere una realtà più alta. E non importa il tempo che richiede. Sarebbe un rivoluzione, lo capisco bene. La Storia, però, è piena di folli sognatori che hanno abbattuto “muri” apparentemente destinati a restare lì dove erano per l’eternità. Tutto sta nel cominciare. Anche sognare e aspirare ad altro fa parte del cambiamento.

Comincia a sognare con me. 

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